Recensione: L’Architettrice di Melania G. Mazzucco

Oggi Daniela di Daniela Carletti – Autrice per l’appuntamento del libro, ci parla de L’Architettrice di Melania G. Mazzucco nell’edizione di Giulio Einaudi Editore. Recensione di Daniela Carletti de L’Architettrice di Melania G. Mazzucco Acquista il romanzo L’Architettrice di Melania G. Mazzucco «La prima pietra» “L’Architettrice” è un romanzo storico ricco di pathos e forza espressiva, in cui l’autrice andando a ritroso nel tempo per le strade e i palazzi romani, “dipinge” paesaggi quotidiani, costellando la narrazione di descrizioni critiche di varie opere d’arte più o meno famose. Benché la Mazzucco come afferma in appendice, scriva solo di personaggi reali dal postiglione al Re Sole, di certo si tratta di un romanzo storico differente da quello manzoniano. Partendo dai dati certi si inserisce nei “vuoti” della Storia, inventando trame plausibili che non deformano la realtà. La struttura del libro si articola su tre piani temporali: il XVII secolo in cui visse Plautilla Bricci, la protagonista che è anche la narratrice interna della storia; il 1849 che vide la breve parabola della Repubblica Romana; l’epoca attuale in cui il romanzo della Mazzucco ha preso forma. Il punto di raccordo tra i differenti periodi è il personaggio cardine, il soggetto della storia e del titolo, ma lo è in egual misura la “Villa del Vascello”, l’opera architettonica che consacrò l’artista come architettrice. Plautilla Bricci (1616-1705) visse e operò a Roma come pittrice e prima architettrice della storia. Nel 1663 progettò e realizzò la “Villa del Vascello” sul Gianicolo a Roma. Stando alla ricostruzione della Mazzucco, la Bricci usò per il basamento, la roccia viva della collina, bitorzoluta e frastagliata, invece di demolirla, così da creare “l’illusione che l’edificio-vascello sorgesse sulla costa, davanti al mare.” (pag. 475). Ma durante la battaglia finale del 1849, che vide proprio tra quelle mura la capitolazione della Repubblica Romana, l’edificio fu quasi interamente distrutto. Nel romanzo dunque, si alternano scenari temporali, l’ultimo dei quali, quello odierno, rappresenta il momento della testimonianza. La “Villa del Vascello” ha incarnato fin dal suo atto di nascita, la forza, il coraggio e il talento di una donna che, ben quattro secoli fa è riuscita ad affermare la sua arte. Se fosse possibile stabilire un rapporto tra la potenza di quella forza e quella attuale che oggi si infrange contro un oscurantismo non dettato dalla necessità, penso che scopriremmo quanto le figure femminili della Storia, abbiano davvero lasciato un segno da cui non bisognerebbe mai smettere di trarre spunto. Ma come sottolinea in più occasioni la Mazzucco, esercitare una professione artistica o intellettuale all’epoca, non era cosa facile per nessuno, neanche per gli uomini specie se provenienti dai ceti più indigenti come testimonia il vissuto di Giovanni Bricci, padre di Plautilla, pure oggetto di racconto nel romanzo. E mentre la storia personale di Plautilla Bricci prende forma tra le pagine, il romanzo rende una precisa testimonianza degli usi e dei costumi di quel tempo, con i suoi alti prelati, nobili e gente del popolo. Appaiono “affreschi” descrittivi  che, con una potente carica drammatica, ci illustrano la peste bubbonica del 1630 (pag. 391; la stessa del Manzoni), la morte causata dal parto o dalle malattie più disparate (il trapasso di Giustina, nipote di Plautilla, è forse il racconto più toccante di tutto il libro; pp. 477/480), le esecuzioni capitali degne di un horror, la piena del fiume che scoperchiando le tombe di un cimitero, dissemina di cadaveri le acque del Tevere (pag. 213). Non mancano pagine dedicate alla Rivoluzione Copernicana, all’avvicendarsi sul soglio di Pietro delle casate romane più importanti, ai rapporti tra lo Stato Pontificio e la Corona di Francia, alla politica del Cardinal Mazzarino, al soggiorno romano di Cristina di Svezia. Ma dato il soggetto del romanzo, una buona parte dell’opera è dedicata alle arti figurative: sfilano sul palcoscenico della Mazzucco gli artisti più importanti che in quel periodo operarono a Roma, con Gian Lorenzo Bernini in testa poiché “Senza il consenso del tirannico cavalier Bernini, nessun artista poteva affermarsi a Roma.” (pag. 231). I marmi candidi e levigati del “Busto del Cardinale Richelieu” (pag. 320) o della “Beata Ludovica Albertoni” (pag. 523) visibili rispettivamente nel Museo del Louvre e nella chiesa di San Francesco a Ripa in Roma, si materializzano davanti ai nostri occhi calandoci magicamente nell’epoca in cui furono creati. Nell’economia di un romanzo che ha richiesto anni di lavoro e un attento studio documentale per evitare il rischio di generare incongruenze, qualche critica, riportata di seguito, non comporta certo una diminuzione del valore dell’opera. Innanzitutto la prolissità, poiché quando determinati fatti non apportano nulla al contesto, hanno talora il sapore del gossip. Il discorso diretto non sempre si legge agevolmente e l’intercalare “in qualche modo” è un’espressione contemporanea ben nota. Riguardo al ciborio del Bernini, posto sull’altare maggiore di San Pietro, la Mazzucco per voce della Bricci, dice “Era stato un sacrilegio disfare un tempio antico per innalzare questa specie di teatro. Più che un altare, pareva che lo scultore volesse riprodurre in pietra un baldacchino pronto a essere portato in processione. Pellegrina invenzione, indubbiamente. Pacchiana, tuttavia. La meraviglia non può essere criterio di bellezza.” (pag. 140). Il giudizio appare tanto più stonato se a dirlo è colei che per progettare la cappella di San Luigi de’ Francesi nell’omonima chiesa romana, dice “Sarà come una scena di teatro: chiuderemo l’ingresso con una balaustra, e ci sarà un sipario di stucco, che gli angeli terranno sollevato per permetterci di vedere l’altare.” (pag. 493). Rito e teatralità sono storicamente connessi e inscindibili come ci hanno insegnato gli antichi greci; senza considerare che la “pellegrina invenzione” non è finalizzata alla creazione artistica di per sé, quanto piuttosto a quei pellegrini che si vorrebbe considerare fuori posto, mentre invece sono a casa loro. Per brevità rimando al pensiero di Giulio Carlo Argan circa la “teatralità” del Bernini, che vale la pena di rispolverare. Appare un po’ forzato il riferimento alla pedofilia dei preti nel ‘600 “…i vizi dei berretti purpurei ricattati dai ragazzini nei cui orti avevano piantato i ravanelli…” (pag. 239), poiché risulta difficile credere al ricatto da parte di chi è traumatizzato, come pure alla diffusione del problema nei termini che qui si vuole dare ad intendere, specie in un contesto in cui, chiunque all’epoca poteva avere amanti uomini e donne senza difficoltà. Immancabile infine la storia di gay che, seppure oggi è “imposta” nella narrativa, come nel cinema e in televisione affinché per via dell’abitudine possa prima o poi rientrare nella normalità, viene qui riportata in maniera alquanto forzosa e sbrigativa “Il motivo per cui mio fratello non si risolveva prendere moglie mi si è rivelato con una chiarezza dolorosa.” (pag. 434). Si tratta comunque di un libro molto bello, che consacra la memoria di una valente artista e lo splendore di una città che, per quanto ritenuta immortale, come dice la Mazzucco “celebra magnificamente la morte, mentre è corteggiata dalla fine”. Daniela Carletti E tu conoscevi questo libro L’Architettrice di Melania G. Mazzucco? Fammelo sapere nei commenti. Se ti piace scrivere o raccontare un libro, una ricetta o un viaggio che vuoi fare scoprire, scrivi a appuntidizelda.info@gmail.com. Scopri gli ultimi appuntamenti Scopri la rubrica Cosa e Dove Mangiare e Ti Parlo di Genova, seguimi sulla pagina Facebook per essere aggiornati su tutte le novità della pagina o in alternativa puoi trovarmi su Instagram e Twitter.
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