Recensione: La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera di Alberto Ravasio

Oggi Daniela di Daniela Carletti – Autrice per l’appuntamento del libro, ci parla de La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera di Alberto Ravasio nell’edizione di Quodlibet. Recensione di Daniela Carletti de La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera di Alberto Ravasio Acquista il romanzo La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera di Alberto Ravasio Guglielmo Sputacchiera non è più un adolescente, ciò nonostante vive ancora con i genitori. Non ha un lavoro e, “analfabeta emotivo”, è inadatto alla vita sociale. Sempre alla ricerca di un rapporto con una donna, si rifugia tuttavia nel Porno online (in maiuscolo nel testo), fino a quando una mattina svegliandosi nel suo letto, scopre di essere diventato una donna. Uno dei temi principali di questo romanzo è il problema attuale dei guasti psichici e comportamentali che il porno sul web sta creando rispetto alla capacità relazionale degli individui, all’idea del sesso che ne deriva specie se la cosa avviene esclusivamente attraverso un monitor senza mai divenire reale. Ravasio compie un’analisi distinguendo 3 fasi nell’approccio al porno virtuale: “Contemplazione, interazione, mutazione.” (pag. 32). Tralasciando in questa sede le prime due che, date le definizioni risultano ovvie, l’autore si concentra sulla mutazione: è rispetto ad essa che si potrebbe ravvisare un accostamento con Gregor Samsa, il protagonista de “La metamorfosi” di Kafka. Ma le divergenze sono molteplici: Samsa viene isolato dal contesto famigliare e sociale solo all’indomani della metamorfosi; per Sputacchiera invece, l’emarginazione avviene ben prima del mutamento. Samsa rimane interiormente se stesso anche dopo la trasformazione; Sputacchiera subisce un mutamento che non è solo fisico, ma anche interiore “Nella terza fase…il desiderio poteva fare a meno del corpo…il Porno…era entrato dentro di lui e lo aveva mutato…a Sputacchiera piaceva molto addentrarsi nel virtuale indossando il corpo di una donna…Forse amava così tanto le donne che non solo voleva possederle, ma desiderava sentirsi come loro, essere dentro di loro” (pp. 33-34): come dire, tra gli innumerevoli significati, che la ricerca del corpo femminile viene sostituita con il desiderio di sentirsi donna. I temi che affronta l’autore infatti, sono molteplici: il nome del protagonista ha il suo perché “Sputacchiera…era diventato niente, perché nel paese, dove non c’è alcun accesso alla conoscenza, restano due sole alternative: o muori di fame e di sogni o mangi abbastanza a lungo, nel piatto in cui sputi, da diventare tuo padre.” (pag. 123): denuncia verso un assetto sociale intellettualmente sterile, poiché votato esclusivamente alla mera sopravvivenza degli individui. La madre di Sputacchiera esterna una filosofia tutta sua: nel momento in cui lui dichiara (solo a lei), il suo stato, non solo non si scompone, ma traduce su di sé il problema “[Davvero, ndr] la cosa peggiore che potesse capitarti è essere donna come me?…In paese mi chiamano pazza…ho il patentino da matta. Se parlo non mi ascoltano e se mi ascoltano non mi credono…niente mi impressiona più, neanche la tua terza di seno. Continuo a pulire perché non so fare altro, ma in questi anni sono molto cambiata. Voi non ve ne siete accorti, e va bene lo stesso. Direbbe tuo padre: che ho da lamentarmi? Mangio e non lavoro. Non mi manca niente.” (pp. 66/68). Sono tutte problematiche di tipo sessuale, sessista, sociale ed esistenziale che emergono dal racconto. Tuttavia, non sempre l’esposizione è consequenziale e lineare; ad esempio: dopo aver descritto le donne intrise dello stesso squallore esistenziale proprio di tutti gli esseri umani, dobbiamo forse pensare che, la cosa migliore per un uomo – che non riesce ad esserlo – sia diventare donna? “Se Dio era assente ingiustificato…quel pertugio [la vulva, ndr] doveva essere l’unica via rimasta per il tanto reclamizzato paradiso.” (pag. 12). E ancora: risulta inattesa la veste intellettuale così rilevante, del protagonista; lo apprendiamo sul finale dall’amico Coprofago, il cui nome è tutto un programma: è affetto da coprofagia colui che si nutre di escrementi. La patologia determina una regressione mentale, precedente allo sviluppo della mente stessa “Distruttivo e non costruttivo, il ribellismo di Coprofago aveva bruciato solamente lui, incenerendo neuroni e futuro.” (pag. 122); “Se non fossi Coprofago, vorrei essere lui [Sputacchiera, ndr]” (pag. 128): Coprofago rappresenta colui che, non essendo stato capace di trasformarsi in essere pensante, si ciba degli scarti di Sputacchiera osannandone soprattutto le sue capacità intellettuali. Tuttavia fino a questo momento, il lettore non ha avuto modo di considerare il protagonista un genio della penna, se non per timide espressioni che però non risaltano nel carattere del personaggio delineato da Ravasio. In più, appare del tutto forzata la confidenza di Coprofago sulla sua adulazione di Sputacchiera, ad una sconosciuta incontrata per caso in strada. Inoltre, la lettera che Sputacchiera, avendo deciso di tentare la sorte altrove, scrive al padre, è un altro elemento che il lettore non riesce a collocare nell’economia del personaggio fin qui descritto, poiché il protagonista non ha mai considerato la figura paterna se non come il prodotto di un assetto sociale da abbattere: legittimo il cambiamento di veduta, ma non c’è nulla che lo giustifichi. Sempre nella lettera, molto belli comunque, i passaggi in cui Sputacchiera giunge alla conclusione che “uomo non si nasce né si diventa, ma uomo si recita, giorno dopo giorno, rinunciando all’emotività, alla comunicazione…” (pag. 157): Sputacchiera risolve il conflitto giungendo alla conclusione per cui, avendo egli le qualità che mancano a suo padre e viceversa “In due, uniti, faremmo un uomo intero. Separati, siamo squallidi rivali, duellanti a vuoto, vinti in partenza.” (pag. 155). Insomma, Sputacchiera è un individuo che a suo modo denuncia un disagio sociale e famigliare: proprio per questo è tanto più amaro l’epilogo, poiché nonostante il rifiuto di una realtà gretta e retriva e nonostante la lettera equa ed onesta nel riconoscere le mancanze da ambo le parti, Sputacchiera si ritrova infine, suo malgrado, a scoprire che assomiglia a suo padre molto più di quanto non pensi. Una nota sul linguaggio, particolare e molto attento; ogni parola è pensata, alcune poi (3), sono creazioni, anche se francamente, il suono proprio di una lingua, poteva farne benissimo a meno: “falluce” (alluce percepito come fallo), “cricetesco” (proprio del criceto, che ripete un’azione in maniera ossessiva, pag. 33), “vulvolatra” (adoratore di vulva, pag. 100). Daniela Carletti Scopri gli ultimi appuntamenti E tu conoscevi questo libroLa vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera di Alberto Ravasio? Fammelo sapere nei commenti. Se ti piace scrivere o raccontare un libro, una ricetta o un viaggio che vuoi fare scoprire, scrivi a appuntidizelda.info@gmail.com. Scopri la rubrica Cosa e Dove Mangiare e Ti Parlo di Genova, seguimi sulla pagina Facebook per essere aggiornati su tutte le novità della pagina o in alternativa puoi trovarmi su Instagram e Twitter.
http://dlvr.it/SqHCVG

CONVERSATION

0 commenti:

Posta un commento