Recensione: Viaggio in Paradiso di Mark Twain

Oggi, nel nostro appuntamento letterario, Daniela Carletti ci presenta il romanzo Viaggio in Paradiso di Mark Twain da La Biblioteca della Repubblica. Scopriamo insieme cosa ci svela su questa opera! Acquista il romanzo su Amazon Recensione di Daniela Carletti di Viaggio in Paradiso di Mark Twain «La Torre di Babele in paradiso» “Viaggio in paradiso” di Mark Twain (1835-1910), viene editato nel 1909 con il titolo “Captain Stormfield’s Visit to Heaven”, ed è l’ultima pubblicazione del grande autore. Il capitano di una nave, Eli Stormfield, è in procinto di morire, assistito dalle cure del suo equipaggio. Ma la storia comincia proprio nel momento in cui, “tumulato” nelle profondità delle acque in alto mare come si conviene ad ogni marinaio, Stormfield inizia il suo viaggio pensando di essere destinato al mondo degli inferi, mentre invece si accorgerà ben presto di ritrovarsi niente di meno che, in paradiso. Nel susseguirsi degli eventi raccontati dal protagonista che è il narratore interno alla storia, Twain ci propone un’idea del paradiso davvero esilarante, di certo originale e tutt’altro che scontata. Il primo elemento di rilievo, è il modo in cui l’autore approccia il lettore ad un racconto surreale: senza mai scadere nel ridicolo e avvalendosi dell’ironia, Twain evita inizialmente di nominare l’aldilà  “Ahimé, quando siete diretti a… a… dov’ero diretto io,” (pag. 17); “Se vi avverrà un giorno di trovarvi in una situazione di questo genere, comprenderete i miei sentimenti.” (pag. 20). I riferimenti alla velocità della luce sono facilmente ascrivibili al fatto che la “Teoria della Relatività Ristretta” di Einstein fu resa nota nel 1905: di certo fece scalpore e non impiegò molto a fare il giro del mondo “Sapete dov’ero? Nel sole. Almeno così immaginai…a otto minuti di distanza dalla nave. Calcolai così la mia velocità. Esattamente quella della luce” (pag. 16). Per un simile viaggio in lungo e in largo nei cieli, Twain si serve proprio di un capitano dal nome ad hoc (Stormfield tradotto suona come – campo di tempesta), avvezzo a girovagare navigando sulle acque e sopra gli abissi. La gara di corsa tra il capitano (che percepisce se stesso come un’imbarcazione) e una cometa gigantesca che si trasforma in un transatlantico, richiama le scorrerie sui mari dei corsari, per suggerire che il paradiso è popolato non solo da santi e da beati, ma anche da pirati e malfattori, in breve da ogni tipo umano. Infatti Twain usa il “giochino” tra l’inferno (che Stormfield si attende di trovare) e il paradiso (in cui invece approda), per sottendere già dalle prime pagine fornendoci un valido indizio interpretativo, che non c’è molta differenza tra le due “realtà”: il paradiso di Twain è un luogo tutt’altro che tranquillo e sereno, in cui tutti gli stereotipi concepiti in terra su quanto accada nell’alto dei cieli a suon di arpe, riverberi di aureole e sventolio di ali, vengono sovvertiti uno ad uno e spazzati via. Nel paradiso di Twain vigono sì, delle regole, ma sono in netto contrasto tra loro e trasformano l’aldilà in una sorta di biblica Torre di Babele a cui l’autore stesso allude “Dacché il mondo è mondo, è stato popolato da razze tanto diverse e ha udito linguaggi così disparati, che era fatale ne risultasse un terribile pasticcio anche in cielo!” (pag. 75). Diametralmente opposto a quello dantesco, in questo paradiso ogni umano che vi giunge apporta la sua personale visione di giustizia che, naturalmente è riferibile a se stesso e al suo modo di intendere la ricompensa divina promessa in vita: insomma in paradiso ci vanno gli esseri umani e ognuno ci va con la sua idea di beatitudine eterna. Ne consegue ad esempio, che un immaginario sarto del Tennessee, uno sconosciuto scrittore mai pubblicato in vita (peraltro secondo Cesare Pavese citato da Melville in Moby Dick), riceverà gli onori di Shakespeare e perfino di Omero, scavalcando entrambi nella stravagante gerarchia celeste. Quest’ultimo aspetto che viene riproposto in vari modi, porta  per buona parte del testo, a pensare che la chiave di lettura dell’opera sia il capovolgimento delle regole che vigono in terra tra le classi sociali. Niente di più sbagliato, poiché nell’ultimo capitolo “Lettera dell’angelo del protocollo” che giunge come una specie di colpo di scena, si comprende come anche coloro che interpretano il male in quanto bene (il proprio), trovino udienza e soddisfazione. Insomma, l’espressione cristica “gli ultimi saranno i primi” viene capovolta anche nella cattiveria, e ognuno ha qui, ciò che ha desiderato in terra. A conti fatti il soggetto del romanzo è la vana ricerca del paradiso che ogni essere umano si immagina, mentre invece, ironia della sorte (o di Twain), in esso accadono esattamente le stesse cose che succedono in terra, ma al contrario per ogni singolo essere umano, generando così, per dirlo in termini manzoniani, un “guazzabuglio di umane passioni”. Daniela Carletti Conosci Memorie di Adriano diMarguerite Yourcenar? Fammelo sapere nei commenti e seguimi sulla pagina Facebook per essere aggiornati su tutte le novità della pagina o in alternativa puoi trovarmi su Instagram e Twitter. 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