Il Soccombente di Thomas Bernhard – Recensione

Oggi, nel nostro appuntamento letterario, Daniela Carletti ci presenta Il Soccombente di Thomas Bernhard, edito da La Biblioteca della Repubblica. Scopriamo insieme cosa ci svela su questa opera! Acquista il romanzo Il Soccombente di Thomas Bernhard Qui Recensione di Daniela Carletti di Il Soccombente di Thomas Bernhard «Analisi di un suicidio» Edito nel 1983, sei anni prima della morte dell’autore, “Il soccombente” è il primo romanzo di una trilogia dedicata alle arti. L’io narrante ci racconta la storia di tre virtuosi del pianoforte: lui medesimo di cui non conosciamo il nome, l’amico Wertheimer (il soccombente) di cui pure si tace il nome di battesimo e Glenn Gould. I tre giovani si conoscono al Mozarteum di Salisburgo per seguire un corso di perfezionamento sotto la guida di Vladimir Horowitz. ùì Ma quando i primi due comprendono il genio del loro amico Glenn, certi di non poter mai assurgere ai suoi livelli di perfezione esecutiva, decidono di abbandonare la carriera di virtuosi; e mentre il primo riesce apparentemente a trovare un suo spazio nel mondo, l’altro sceglierà la via più drastica del suicidio, anche se, facendo il punto, Bernhard cela in tutto il testo un colpo di scena veramente geniale.  Prima di ogni altra cosa va detto che dei quattro personaggi di cui l’autore scrive, due sono inventati, l’io narrante e Wertheimer; gli altri due, Vladimir Horowitz e Glenn Gould, sono realmente esistiti e noti al grande pubblico per aver apportato al virtuosismo pianistico, ognuno la propria originalità ed arte.  Ma non si può certo dire, come nel romanzo si afferma, che Gould fosse più bravo di Horowitz, poiché si tratta di due visioni nel modo di suonare il pianoforte, completamente differenti, essendo il primo diverso da qualunque altro pianista celebre, con la sua postura al pianoforte del tutto soggettiva. Generalmente infatti, sono le mani, le braccia e il corpo che scaricano dall’alto il peso sui tasti: non così per Gould che invece di suonare dall’alto verso il basso, suonava al contrario, per così di dire “appeso al pianoforte”. Altro dato non reale è che Gould sia stato allievo di Horowitz, cosa che infatti non è mai avvenuta. Indipendentemente dalle ragioni che hanno spinto l’autore a servirsi di invenzioni narrative che si discostano dal vero, prima di provare ad interpretarne l’opera, vale la pena di conoscere alcuni aspetti della vita dello scrittore. Thomas Bernhard (1931-1989) visse per lo più in Austria e in Germania; non conobbe mai suo padre e da piccolo concepì idee di suicidio; fu introdotto alla musica e all’arte dal nonno materno di idee liberali e insofferente al Nazismo; a 11 anni dato il suo carattere irrequieto, la madre decise di portarlo in un istituto di rieducazione che poi diventerà il Convitto Nazionalsocialista di Salisburgo: lo scrittore definirà quell’esperienza come una sorta di reclusione forzata di stampo nazista. A 16 anni venne ricoverato in un ospedale di Salisburgo da cui, per tubercolosi polmonare, fu trasferito in sanatorio. Nel suo testamento lasciò scritto “Sottolineo espressamente di non volere avere nulla a che fare con lo Stato austriaco, e mi oppongo non solo a qualsiasi forma di intrusione, ma anche ad ogni avvicinamento di tale Stato austriaco alla mia persona e al mio lavoro – per sempre.” Dal momento che è impossibile scindere l’opera di uno scrittore da lui medesimo non fosse altro perché ne è l’autore, in Bernhard la cosa è evidente. Molti sono i richiami al suo vissuto, come ad esempio nel suo primo romanzo “Gelo”, il protagonista malato di ipocondria e crisi depressive, è seguito da un suo fratello medico, come accadde a Bernhard seppur con alcune differenze sostanziali; ne “La Fornace” (citata come proprietà di famiglia ne “Il soccombente” a pag. 21), il protagonista sposa la sorellastra (Bernhard ne aveva una), per poi ucciderla (peraltro, di un rapporto patologico tra Wertheimer e sua sorella, se ne parla anche ne “Il soccombente”). Con tutti questi presupposti non c’è da stupirsi se lo stile discorsivo dell’autore si avvita su se stesso producendo periodi sintattici reiterati, come del resto avviene in molti altri suoi romanzi; ad esempio sempre ne “La fornace” si legge “…sono stato immediatamente e senza tanti riguardi coinvolto da lui in una conversazione sulla medicina o sulla politica o semplicemente sulle scienze naturali oppure sulla politica e sulla medicina o sulla politica e sulle scienze naturali o sulle scienze naturali, sulla politica e sulla medicina, ma di questo parlerò in seguito…”. La quasi assenza della punteggiatura si riscontra talora anche ne “Il soccombente”, a rimarcare la concitazione e l’ossessività del concetto, che divengono così più significanti del concetto stesso. Come spesso l’autore usa, anche ne “Il soccombente” il testo è un lungo monologo tormentato e ininterrotto, che si svolge per intero nella testa dell’io narrante, inframezzato soltanto da brevi cenni relativi alle azioni del quotidiano che compie distrattamente, quasi come un automa “così pensai, mentre mi avviavo verso la locanda”, “pensai sulla soglia della locanda”, “pensai nella locanda”. A pag. 64 l’io narrante (o l’autore se si preferisce), espone i suoi pensieri e quelli che attribuisce all’amico suicida, sempre all’insegna di un discorso circolare, completando le frasi per ben dieci volte con l’espressione “così diceva, pensai” riportata comunque di continuo in tutto il libro, in maniera evidentemente ridondante, a sottolineare un dato: la ripetizione assillante della locuzione con quel “pensai” ambivalente, indica chiaramente l’identificazione dell’io narrante con il soccombente, come dire che il pensiero dell’altro è anche il suo. Da ciò si deduce che il narrante dà voce ai pensieri di un suicida, accogliendo quel desiderio irrealizzabile di coloro che subiscono il suicidio di qualcuno, senza poterne conoscere le più intime ragioni dalla sua viva voce. Bernhard invece, dà al lettore questa possibilità incarnata dall’io narrante che, tuttavia, è suicida anch’egli seppur in una forma diversa: chi racconta non è altro che un “morto vivente”, ossia colui che ha deciso di vivere senza esserci, evidenziando il negativo in tutto ciò che lo circonda, focalizzando così il problema sul male di vivere. Cosicché la musica è tutto sommato un pretesto per affermare la crisi esistenziale, inevitabile e conseguente al vivere stesso. Bernhard infatti, rifiuta in pieno la tesi schopenhaueriana secondo cui possiamo alleviare la desolazione dell’esistenza soltanto immergendoci nell’Arte; e con essa rifiuta del tutto le cosiddette “scienze dello spirito” (così definisce la Filosofia nel testo). Bernhard si avventura su un baratro che non lascia possibilità di scampo poiché quando anche l’Arte fallisce nel suo compito di lenire il dolore o la noia connaturati all’esistenza, rimane soltanto l’annientamento; tanto più, come ne “Il soccombente”, quando è anche l’Arte stessa, ad annientarti.  Il tema del suicidio ricorre anche in altri lavori, come ad esempio nel già citato “Gelo” in cui Bernhard scrive di un artista affetto da depressione e ipocondria, che si ritira in una locanda in montagna dove poi si suiciderà. La tesi di Bernhard esclude completamente che ci possa essere un’altra possibilità, poiché il suo dibattere sta solo sul tipo di annientamento che ognuno è libero di scegliere. È per questo che, mentre Gould (secondo l’autore) muore “ammazzandosi” di studio poiché “…si coricava verso le 4:00 del mattino, non per dormire…ma solo per spegnere la spossatezza.” (pag. 41), e Wertheimer si uccide realmente, l’io narrante si descrive come un fantasma che si aggira sulla terra fra un posto e l’altro, proprio come nell’immaginazione potrebbe fare lo spirito di colui che avendo deciso di abbandonare questo mondo, vi ritorna sotto il peso di un contenzioso ancora aperto.  Ed è proprio questo il punto: si potrebbe addirittura pensare che l’io narrante senza nome, sia Wertheimer che, dopo essersi suicidato non solo assiste al suo funerale, ma ritorna nei luoghi in cui ha vissuto, continuando il suo monologo patologico, in cui la scissione tra i suoi due sé, rivela la visione di Bernhard secondo cui neanche il suicidio mette la parola fine al dolore di vivere. Daniela Carletti Conosci Il Soccombente di Thomas Bernhard? 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