Recensione: L’eterno marito di Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Oggi, nel nostro appuntamento letterario, Daniela Carletti ci presenta il romanzo L’eterno marito di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, pubblicato da Opportunity Books. Scopriamo insieme cosa ci svela su questa opera! Acquista il romanzo su Amazon Recensione di Daniela Carletti di L’eterno marito di Fëdor Michajlovič Dostoevskij «L’eterno marito e l’eterno rivale» Pubblicato nel 1870 “L’eterno marito” è indubbiamente una delle opere di Dostoevskij (1821-1881) meno note al grande pubblico, ma non per questo di minor importanza e profondità. Si tratta infatti di un lavoro molto complesso sul piano psicologico, specie nel rapporto fra gli attori in gioco, come sempre accade in Dostoevskij. Alekséj Ivànovič Vel’čàninov alle soglie dei quaranta, afflitto da ipocondria e da remore di natura morale relative ai suoi trascorsi amorosi, a causa di problemi finanziari si trova improvvisamente a vivere ai margini dell’alta società di Pietroburgo. Proprio in questo momento di debolezza psichica e materiale, viene in contatto con Pavel Pàvlovič Trusockij, ovvero il marito di una sua ex amante defunta da poco. Il rapporto che si instaura tra i due è alquanto ambiguo, specie quando compare la piccola Liza, ufficialmente figlia di Pàvlovič, ma in realtà figlia naturale di Vel’čàninov che ne apprende in quel frangente l’esistenza.La vicenda diventa sempre più torbida nel susseguirsi di stati d’animo morbosi, e sfiorando la tragedia, il finale ci rivela una filosofia amara. Il punto centrale da cui scaturisce l’impianto psicologico ed etico dell’opera, si individua nel fatto che è uno dei due protagonisti, Vel’čàninov, a definire l’altro, Pàvlovič, “eterno marito”.Il primo dato che si evince da questa affermazione è il legame stretto che intercorre tra le due figure maschili, poiché per esternare la sua vera natura, Pàvlovič ha bisogno dell’altro: come dire che è un eterno marito in funzione dell’operato altrui. Ciò detto, si potrebbe pensare che costui sia dipendente da Vel’čàninov, ma non è esatto: il marito tradito ha bisogno di relazionarsi con l’altro, stuzzicandolo “«Rammentate, rammentate» gridacchiava Pavel Pàvlovič” (pag. 36), mettendolo alla prova, inchiodandolo alle sue responsabilità paterne, portandolo al limite dell’esasperazione e infine, cercando di annientarlo, perché è così che si comporta un marito tradito, un eterno marito. Non è insolita nei romanzi di Dostoevskij, la difficoltà di riuscire ad individuare il protagonista reale della vicenda, ed infatti, ciò che è evidente per quanto fin qui esposto, è che tanto Vel’čàninov, quanto Pàvlovič, sono entrambi protagonisti/antagonisti l’uno dell’altro, in un sottile gioco psicologico che mette a nudo la realtà interiore di entrambi, rivelando due personaggi alquanto contorti e complicati nella loro espressione psichica che sfiora la patologia. Non va dimenticato però, che quasi tutti gli incontri tra i due, sono riportati nel testo con gli occhi di Vel’čàninov: il lettore non conosce infatti il pensiero recondito di Pàvlovič, se non attraverso il filtro dell’interpretazione che ne da Vel’čàninov; in sostanza chi legge, non si trova mai veramente solo con Pàvlovič e le sue passioni, mentre invece l’autore si attarda spesso nel comunicarci i ragionamenti quasi maniacali dell’altro, i suoi sensi di colpa, le percezioni al limite dell’ossessione, le risoluzioni interiori temporanee, insomma ogni singolo stato d’animo, specie nelle elucubrazioni mentali su l’eterno marito: “Chi è però questa canaglia e perché non mi si accosta, se davvero mi riconosce e ha tanta voglia di avvicinarsi?…Ma che mi pesa la sua mancanza forse?…Che mi stia spiando? Mi segue, è evidente!…Quant’è vero Dio gli romperò le ossa…Peccato solo che io vada senza bastone! Comprerò un bastone!” (pp. 26-27). Il fatto dunque che Pàvlovič venga “defraudato” di un suo spazio privato, è un’ulteriore conferma della sua dipendenza, seppur voluta, dall’altro, ed è sempre per il medesimo motivo che Pàvlovič dice a Vel’čàninov di amarlo, poiché è agitato da un sentimento di amore/odio verso il rivale in quanto, pur odiandolo non può fare a meno di lui: in una delle scene finali, Pàvlovič allevia le sofferenze fisiche di Vel’čàninov preso da deliri ipocondriaci e, nello stesso tempo, cerca di eliminarlo fisicamente. In verità quest’ultimo aspetto che è lasciato in sospeso ad arte, incrementa ulteriormente un panorama psicologico già articolato all’ennesima potenza: Dostoevskij lega il presunto tentativo di omicidio di Vel’čàninov da parte di Pàvlovič, al delirio nel sonno di Vel’čàninov in preda ad un malessere, cosicché non esplicita chiaramente se si tratti di un fatto reale o dell’immaginazione di un malato; né, può essere un’affermazione di realtà il dialogo in proposito tra i due dopo l’accadimento, poiché la risposta di Pàvlovič non essendo confermativa, genera ambiguità circa la veridicità del presunto accadimento: il testo, in cui è Vel’čàninov a parlare per primo, dice “«Se volete, andrò subito a raccontare…come volevate scannarmi, eh?», «Che dite, che dite!» si spaventò terribilmente Pavel Pàvlovič «Che Dio ve ne guardi.»” (pag. 155).È chiaro dunque che Dostoevskij sfrutta l’ambivalenza dell’interpretazione per mettere in luce, da un lato l’animo contorto di Pàvlovič (nel caso di tentato omicidio), e dall’altro la personalità non meno complessa di Vel’čàninov nel caso di una sua allucinazione. Se “L’eterno marito” fosse una pièce teatrale, ci vorrebbero due attori di rara bravura per riuscire a rendere le innumerevoli sfumature dell’animo dei due personaggi, poiché in questa opera come in quelle più note, Dostoevskij riesce a creare un incastro degno del più sottile e attento indagatore delle umane passioni; non a caso egli è considerato lo scrittore del “sottosuolo” dell’animo umano (epiteto derivante dal titolo di uno dei suoi romanzi più famosi “Memorie dal sottosuolo”), che scava ogni più recondito anfratto del conscio e dell’inconscio per giungere ad una definizione esatta del bene e del male. Per questo Dostoevskij è considerato anche un filosofo contemporaneo, oltre che uno dei più geniali romanzieri russi di tutti i tempi. In questa specifica opera l’analisi che l’autore compie, si impernia sull’assolutezza del male, considerato come un qualcosa a cui gli uomini non possono sottrarsi e, in effetti, è proprio questa la conclusione: ognuno è come è, senza possibilità alcuna di poter cambiare “La natura ai mostri non è tenera madre, ma matrigna. La natura genera il mostro, ma invece di compiangerlo, lo mette a morte” (pag. 144); così si spiega sul finale, l’ultima parvenza di crisi di coscienza di Vel’čàninov che, rinunciando per questo ad un incontro mondano, rimpiangerà di non averlo fatto “…dalla conoscente del distretto non andò: era troppo di malumore. E come gli rincrebbe poi!” (pag. 156).Daniela Carletti Conosci L’eterno marito di Fëdor Michajlovič Dostoevskij? Fammelo sapere nei commenti e seguimi sulla pagina Facebook per essere aggiornati su tutte le novità della pagina o in alternativa puoi trovarmi su Instagram e Twitter. 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